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Puerto Rico (di Enzo Conte)

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Puerto Rico è un’isola che sprigiona un fascino enigmatico. Non è la classica isola caraibica che teniamo custodita nel nostro immaginario collettivo, ma non è neppure quella colonia americana che qualcuno frettolosamente vorrebbe liquidare.
E’ un’isola che ha molte anime, che bisogna conoscere attentamente per riuscire ad apprezzarla nella sua complessità.
La presenza della salsa a volte non sembra nemmeno così forte ma poi ti ritrovi in uno stadio con decine di migliaia di persone entusiaste, impegnate ad acclamare idoli locali come El Gran Combo, Tommy Olivencia, La Sonora Ponceña, Roberto Roena, Willie Rosario, Bobby Valentín.
La presenza del folclore di origine africana, sembra quasi inesistente e poi ti ritrovi in una piazza gremita di gente ad assistere al “Dia Nacional de la Bomba”, oppure per le strade della cittadina di Loiza a festeggiare, con indosso una maschera tradizionale, il loro Carnevale.



E’ un popolo in apparenza riservato. Inizialmente sono piuttosto schivi, quasi sospettosi, un po’ come i nostri siciliani (almeno quelli dell’interno). Ma è un popolo che, quando ti conosce bene, dimostra al contrario di essere un fiume in piena, “caliente”, appassionato, amante del “bochinche” (il pettegolezzo) come tutti i popoli latini.
Un popolo pieno di contraddizioni. Un popolo che sembra facilmente preda alla colonizzazione americana, che dà alle volte l’impressione di “disprezzare” tutto ciò che appartiene alla propria cultura, ma che poi esplode in un incontenibile sentimento patriottico ogni volta che qualcuno cerca di mettere in discussione la sua identità.
E’ inutile chiedersi se siano latini o americani.
Loro sono: portoricani!
Un popolo alle volte fin troppo formale, come talvolta succede nei locali di salsa, a volte fin troppo esplicito, come succede in quei locali, frequentati per lo più da giovanissimi, dove a farla da padrone è un ballo ad alta connotazione erotica come il reggaeton.
Chi è il portoricano? Credo che non esista in realtà un portoricano medio. Per capirlo, per comprenderlo, lo devi accettare così com’è, nelle sue differenti anime che non seguono a volte neppure un filo logico.
Pur non vivendo una condizione sociale disperata, anche a Puerto Rico (come molti paesi dell’America Latina) le differenze sociali sono infatti fortissime e la vita di un “barrio” o di un “caserio” (case popolari costruite dal governo, spesso ricettacolo della malavita e dei boss della droga) non può essere paragonata a quella che si vive nelle ville di stile hollywodiano o nei condomini di lusso del Condado o di Isla Verde.
In realtà proprio approfondendo questo complesso sistema sociale che possiamo riuscire a capire meglio le radici, le origini della loro musica.
Oggi quello portoricano è un popolo diviso che attraversa una profonda crisi di identità incapace di scegliere tra l’eredità ispanica e le sirene della cultura yankee, sebbene le nuove generazioni si riconoscono certamente di più in personaggi come Richy Martin e Jennifer López (prodotti tipici di questa transculturazione) piuttosto che negli esponenti della vecchia guardia salsera.
Per il pubblico italiano Puerto Rico continua a non avere un grande fascino. Le ragioni sono tante. La colpa in primis è degli stessi portoricani che non fanno niente per attirare il turismo europeo.
Pensate: l’anno scorso hanno visitato l’isola almeno un milione e mezzo di turisti. Ebbene di questi turisti solo 33.000 venivano dal Vecchio Continente.
Di conseguenza anche le offerte turistiche sono mirate soprattutto al gusto del turista americano. Nell’isola infatti non ci sono villaggi turistici (che piacciono tanto invece agli italiani) e non ci sono nemmeno quelli situazioni da turismo di massa che piacciono tanto agli amanti delle vacanze trasgressive o a sfondo sessuale (vedi Santo Domingo, Cuba, Brasile o Tailandia).
Eppure l’amante della salsa e della cultura che esprime troverebbe a Puerto Rico una infinità di sorprese. Ma per trovare il frutto del suo desiderio non dovrebbe frequentare i luoghi turistici, dovrebbe addentrarsi al contrario nella “calle” portoricana. In quella strada, talvolta durissima, dove nasce il vero spirito “cocolo” (plebeo) di questa gente. Gente umile, proletaria che purtroppo (per noi) non si veste con sgargianti camicie a fiori, che non va in giro in bikini o gonnellino di banane e che spesso vive o frequenta posti dove un italiano molte volte non accetterebbe nemmeno di mettere piede
Se vuoi capire la vera anima salsera di questo popolo è però in quei posti che devi andare.
Devi ritrovarti in una delle loro tante feste patronali, impregnate dall’odore dei loro fritti preferiti (pinchos, alcapurrias, bacalao), fermarti a ballare per la strada insieme a loro o ad ascoltare la musica magari di un Moncho Rivera (nipote dello scomparso idolo locale Ismael Rivera), insieme al quale il popolino ripete a memoria le parole di canzoni (per noi sconosciute) che qui hanno contraddistinto un’epoca.
E tra le loro bancarelle, nella semplicità delle loro luminarie, nella spontaneità di quei sorrisi che devi cercare, come direbbe il compositore e poeta Tite Curet Alonso, “las caras lindas de mi gente negra” (i visi belli della mia gente negra), ovvero l’anima popolare di questa gente così lontana dalla nostra cultura borghese.

Enzo Conte