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PICCOLA STORIA DEL CHACHACHA - di Enzo Conte

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Negli anni '50 Cuba viveva la feroce dittatura di Fulgencio Batista, caratterizzata da crimini atroci, profonde ingiustizie sociali e da una corruzione dilagante. L'Habana, consegnata dall'astuto dittatore nelle mani della mafia americana, era diventata nel frattempo un grande casinò a cielo aperto: la Las Vegas del Caribe. L 'esigenza di incrementare il gioco d'azzardo e di divertire le folle di turisti danarosi che affollavano i casinò, favorì indirettamente il bisogno di musica, di nuovi locali e la creazione di nuove espressioni musicali.



Le charangas, tipiche formazioni cubane caratterizzate dalla presenza dei violini e del flauto, raggiunsero in quegli anni il loro apogeo. E questo grazie all'euforia provocata dal un nuovo ritmo: il chachacha, creato nel '51 da Enrique Jorrín, violinista e direttore dell'orchestra America.
Questo nuovo ritmo fu favorito dall’incorporazione nella classica formazione di charanga delle congas, che contribuiranno a creare una interessante variante ritmica sincopata che sarà accolta con grande entusiasmo dai ballerini cubani. Ispirandosi alla sensualità e alla bellezza delle ragazze cubane, il maestro Enrique Jorrìn compose nel 1951 il brano “La Engañadora”, considerato in assoluto il primo chachacha della storia. In realtà il violinista cubano quando creò questo nuovo ritmo, non sapendo che nome dargli lo battezzò provvisoriamente "mambo-rumba". Solo due anni più tardi decise di chiamare la sua creazione chachacha, ispirandosi al suono onomatopeico che provocavano i ballerini nel marcare con i piedi la caratteristica sequenza sincopata di questo ballo che ascoltata con attenzione sembrava proprio dire: “chachacha”.
Alla diffusione di questo nuovo ritmo collaborarono tutte le orchestre cubane più famose, in particolare l'Aragón de Cienfuegos e quella di José Fajardo y sus Estrellas.
L’interesse verso questo nuovo ritmo provocò una vera e propria rivoluzione musicale e diede alla luce brani indimenticabili come ad esempio: “Rico vacilón”, “Los marcianos”, “El bodeguero”, ”Perfidia”, “Yo tengo una muñeca”, “Me lo dijo Adela”, "El pollo de Carlitos".

Per quanto riguarda il ballo i ballerini cubani solevano entrare sul quarto tempo, per marcare la sincope chachacha tra i tempi quattro e uno (questo nel conteggio da uno a quattro). Il movimento ritmico era quindi: quatro y un-dos-tres, mentre nella tradizione americana diverrà popolare la maniera di entrare direttamente sul primo tempo e marcare la sincope sul terzo e il quarto tempo (un-dos-tres y quatro).
Tutto ciò a dimostrazione di come il ballo, cambiando latitudine, si trasforma adattandosi al gusto e al costume locale.
Il chachacha ebbe una grandissima popolarità fra i ballerini dell’epoca. Un enorme successo l’ottenne anche negli Stati Uniti, grazie alle innumerevoli incisioni dei portoricani Tito Rodriguez e Tito Puente, che seppero fare del chachacha uno dei balli favoriti della loro generazione.
Si trattava di un ballo piuttosto semplice che si eseguiva prevalentemente in linea, con figure composte da semplici giri a destra o a sinistra. Il suo ritmo allegro e contagioso alimentò però la creatività dei ballerini che cominciarono ad inserire figure sempre più fantasiose che spinsero i più virtuosi a riunirsi in circolo per eseguire la cosiddetta ”rueda de chachacha” dalla quale deriva quella che in futuro fu chiamata “rueda de casino”.

Anche in Italia questo ritmo cubano seppe conquistare l’onore delle cronache e attorno ad esso si scatenò la stessa febbre che in passato aveva saputo suscitare il mambo. Brani come il “Chachacha della segretaria”, favorirono anche il nascere di un chachacha nostrano che ci regalò numerosi successi discografici durante i favolosi anni ‘60.

Il chachacha è ancora oggi un ballo popolarissimo, entrato stabilmente, anche se con uno spirito molto diverso, tra le danze standard latino-americane che sono ricordiamolo: samba, paso doble, jive e appunto chachacha. Curioso come nel mondo degli standard, venga chiamato solo chacha e ancora più strano che molti siano convinti che questi sia il suo nome originale.
Come abbiamo visto chachacha, stava a sottolineare la sincope che esegue la conga fra il quarto e il primo tempo formata da tre scansioni: appunto cha cha cha. Allora perché chiamarlo chacha? Probabilmente perché i maestri inglesi volevano enfatizzare il fatto che fosse un ballo differente rispetto all’originale cubano.


Sicuramente tra tutti i ritmi cubani il chachacha è l’unico a non essere mai passato di moda e anche durante l’apogeo della salsa ha continuato ad avere i suoi cultori e ha rappresentato per molti artisti una valida alternativa musicale. Persino artisti pop hanno preso ispirazione da questo ritmo che è diventato familiare in tutto il mondo.
La perfetta fusione fra il rock e il chachacha ce l’ha offerta, a cavallo degli anni ‘70, Carlos Santana, chitarrista californiano di origine chicana, che ha saputo regalarci una serie incredibile di successi come ad esempio: “Oye como va” (originariamente di Tito Puente), “Black magic woman”, “Moonflower”, fino alla recentissima “Corazon espinado”, che hanno saputo tenere alto, anche negli anni più bui, l’interesse del pubblico mondiale verso la musica di origine afrocubana.

Nell’attualità c’è da rilevare come nei locali italiani strettamente salseri raramente capita di ascoltare qualche chachacha. I deejay i preferiscono non programmarlo perché non vogliono correre il rischio di svuotare la pista. Di conseguenza gli stessi insegnanti di ballo non sono invogliati ad insegnarlo proprio perché nei locali non lo si balla mai. Sembra un po’ la storia del gatto che si morde la coda ma è decisamente un vero peccato perché il chachacha, al di là del suo fascino, è assolutamente propedeutico alla salsa e se ben fatto può veramente aiutare a migliorare il senso ritmico e interpretativo di ogni singolo ballerino.